Calamita Cosmica
Il viaggio con la “Calamita Cosmica” di Gino De Dominicis (2000-2010) Carlo Bruscia
Il libro Calamita Cosmica è stato realizzato in collaborazione col Museo Omero di Ancona nelricordo di Roberto Farroni. Una ricostruzione storica del percorso europeo che Calamita Cosmica il capolavoro di Gino De Dominicis ha seguito dopo essere stata ascquistata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno che ha messo l’opera a disposizione deka fruizione pubblica con il consenso degli eredi dell’artista.
È Carlo Bruscia a narrare la storia perchè ha avuto la fortuna e l’onore di accompagnare materialmente il capolavoro Calamita Cosmica in tutte le tappe del suo percorso e perchè ha personalmente curato il montaggio e lo smontaggio di ogni particolare anatomico dell’opera Calamita Cosmica in tutti i suoi spostamenti fino alla sua definitiva sistemazione museale nella Chiesa di Santa Maria in Annunziata in Foligno.
La Calamita Cosmica essenza dell’immortalità
È un’opera del 1989 presentata per la prima volta nel 1990 al museo Magazine di Grenoble, su invito della direttrice Adelina von Fürstenberg-Herdringen. Non si sa niente di quando Gino De
Dominicis costruì quest’opera, composta da uno scheletro umano lungo ben 26 metri e da un’asta d’oro in verticale alta 10 metri. Tomassoni dice: “Gino mi invitò a Grenoble, ma io non sapevo niente di quest’opera, e Gino De Dominicis me la presentò lì a Grenoble improvvisamente. Non volle dir niente né dove era stata fatta, né chi l’aveva aiutato. Questo mistero è ancora da svelare.
Il corpo sostiene i cieli e la terra
Laurent Busine
Lo scheletro disteso, immenso, è un prodigio e un’illusione, una menzogna e una trovata; è un’opera di una fabbrica sconosciuta, ignorata, che per dargli un corpo utilizza artifici dell’arte ma anche pratiche comuni alle scienze anatomiche. Quale cataclisma (calamità) avrà dunque provveduto alla conservazione di questo essere, quale sconvolgimento tellurico, quale eruzione, e di quale Etna? Fiduciosi, entriamo nella sala in cui il personaggio smisurato (uomo, donna, ermafrodito?) si trova disteso per una simulazione di eternità. Dico bene: simulazione – sicuro! – perché nessuno può pensare che le ossa siano vere, e che il loro assemblamento sia naturale. È evidente che è di resina dipinta: opera fatta dalla mano dell’uomo, e nessun dio ha provveduto in un momento di turbamento alla nascita dell’individuo che ora è disteso, morto, vuotato della sua carne e delle sue viscere, di fronte al quale ci troviamo. Una storia concepita per stordirci. Se non crediamo alla genuinità delle ossa, possiamo tuttavia credere alla verità del gigante, immaginare le masse e l’intero corpo e, in questo caso preciso, immaginare e dare forma e vita a quello che mai non fu. Questo è proprio uno dei principi su cui l’arte si fonda: l’artista organizza una finzione che, una volta penetrata negli occhi, nelcervello e negli organi umani di cui conosciamo a malapena i sottili meccanismi, vi occupa un posto paragonabile a qualsiasi altra realtà del mondo, poiché essa (l’opera, la finzione) ormai esiste nel mondo; in questo senso dico che si tratta di una simulazione di eternità.
Che le ossa siano di resina o di osseina non cambia niente alla questione: in questa sala c’è uno scheletro immenso, disteso. Parleremo quindi di uno scheletro senza fare distinzione quanto alla sua materia; diremo che vi siamo di fronte, che percorriamo la sua lunghezza, che lo esaminiamo; paragoneremo la sua dimensione alla nostra, verificheremo l’esattezza dell’assemblaggio rispetto a ciò che sappiamo di una carcassa umana e cosi via… Colui che stiamo osservando, con le sue forme colossali, è comparabile agli esseri umani nella generale disposizione delle ossa – ed è per questo che lo riconosciamo – ma ciò assolutamente non spiega come mai esso si trovi in quel luogo. Se il caso ci ha fatto entrare nella sala, se il caso ha fatto si che esso si trovi in quel luogo, tuttavia non è il caso, ma il volere di Gino De Dominicis, che ha provveduto alla sua esistenza. È un’opera, un’illusione, dicevo all’inizio; se questo scheletro richiama i tempi antichi e antidiluviani in cui il mondo, in seguito a numerose cosmogonie, fu popolato da esseri mostruosi – pensiamo ad esempio ai Titani, ad Argo dai cento occhi, ai ciclopi da un occhio solo e alla terribile battaglia fratricida, la gigantomachia, tuttavia è anche vero che questo immenso essere disteso è un’invenzione, un modo per portare alla luce qualcosa che prima non c’era. Un’opera che ci offre un mondo sconosciuto, che scopriremo passo dopo passo, percorrendolo.